Spiegazione del saggio di Biagio Grasso riguardo la disposizione “novativa” del credito.

Disposizione “novativa” del credito:

Secondo Grasso la vera funzione della risoluzione per inadempimento è quella di garantire al contraente fedele un potere dispositivo novativo del credito.L’istituto della risoluzione, in tutte e tre le sue accezioni, vuole garantire la corrispondenza tra quello che si è disposto e quello che poi succederà in concreto.

Nel momento in cui il contraente subisce un inadempimento può chiedere l’esecuzione in forma specifica che però non sempre è possibile (obbligo di facere), oppure il risarcimento del danno per equivalente (anch’esso di fatto in alcune occasioni non satisfattorio in caso di incapienza del patrimonio dell’escusso), o la risoluzione del contratto.

Sostiene Grasso che, non essendoci alcun intento sanzionatorio (tranne il caso di colpa), la vera funzione della risoluzione è di fornire questa tutela al contraente fedele attribuendogli tale potere novativo dispositivo con il quale questi scioglie il rapporto obbligatorio. Le critiche principali che la dottrina muove a questa teoria di Biagio Grasso, sono le seguenti.

1) La tutela, o l’interesse della parte può esercitarsi incidendo sulla sfera dell’inadempiente e sulle sue posizioni. Quindi, ritenendo che ci sia solo questa funzione dispositivo novativa, non ci sarebbe più la funzione sanzionatoria, principio informatore della risoluzione secondo la stessa dottrina.

2) La volontà dell’attore in risoluzione è irrilevante nella ricostruzione dell’istituto, laddove invece, secondo Grasso sarebbe una scelta.

3) La tutela non può limitarsi ad un effetto dispositivo e solo indirettamente  favorevole. Grasso risponde alla terza critica sostenendo che effetto diretto della risoluzione non è solo il fattore dispositivo, ma anche la caduta dell’obbligo da parte del risolvente. Essendo un effetto diretto, già basterebbe da solo, a smontare le tre critiche che gli sono state mosse.

Alla dottrina che sostiene, invece, che l’interesse tutelato non è lo scambio novativo ma il venir meno dell’obbligo del risolvente, risponde sostenendo che l’attività risolutiva che consiste nella disposizione del proprio diritto di credito, ha come effetti sia l’estinzione del diritto dell’inadempiente che la liberazione dell’obbligo del contraente fedele, e quindi contempla in sé la tutela dei due interessi.

Afferma ancora che la cd natura sanzionatoria del rimedio della risoluzione non può ravvisarsi nel potere del contraente fedele di agire in risoluzione, giacchè colui al quale sarebbe diretta questa sanzione, e cioè il contraente non adempiente, perde sì un diritto, ma allo stesso tempo si libera di un obbligo.

Né subisce lo scambio che invece corrisponde (sia pure in senso inverso) a quello voluto nel regolamento del contratto.

Infine evidenzia come il momento dispositivo del credito sia un dato che si trova nel nostro ordinamento anche in altri istituti simili e cioè la datio in solutum (in cui, con accordo del creditore, invece di dare ciò che era stato pattuito si accetta un altro tipo di prestazione).

Conclude sottolineando che nel diritto soggettivo, accanto al potere di godimento esiste il potere di disposizione, e quindi l’interesse si realizza anche con l’esercizio della facoltà dispositivo novativa.


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